Sinopse
Caduto in vita nelle grinfie della madre e della sorella, dopo la morte Nietzsche è caduto in quelle dei filosofi, del tutto sordi al suo rifiuto di appartenere alla loro corporazione.
Pensatore malato, che sa di esserlo - e in questo si differenzia dall'umanità tutta - Nietzsche rivendica per sé il ruolo di psicologo, al quale dà un significato diverso da quello che esso aveva all'epoca.
La psicopatologia, già esistente all'epoca di Nietzsche, studia i disturbi psichici come espressioni di una disfunzione il cui metro di misura è la "normalità". Per Nietzsche, la normalità è essa, anzitutto, una malattia, e il suo essere un pensatore malato implica la consapevolezza che solo riconoscendo questo stato, passandoci attraverso ed elaborandolo si può raggiungere un'autentica salute.
Se si volesse definire con un termine adeguato il ruolo di Nietzsche, occorrerebbe coniare un neologismo. Egli, di fatto, si potrebbe definire un "panantropologo": uno studioso dell'uomo a tutto campo, il cui interesse elettivo, però, è la malattia, identificabile con la tendenza, propria della coscienza individuale e collettiva, alla mistificazione, vale a dire alla fuga dalla verità. Se questo è vero, recuperare la salute implica lacerare i veli molteplici che impediscono all'uomo di prendere atto della sua reale condizione, e raggiungere, in conseguenza di questo, uno stato di autenticità e di contatto con il proprio essere profondo. A questo obiettivo Nietzsche tende con tutte le sue forze. Che non sia mai riuscito a raggiungerlo stabilmente, è il mistero che sottende la sua vita e il suo pensiero. Solo assumendo Nietzsche come un "panantropologo", si può fornire del suo pensiero una rilettura che non si limiti a ripetere cose già dette. Accettare la sfida che esso comporta, rappresenta l'unico modo di capire, alla luce degli sviluppi recenti delle scienze umane sociali, che cosa di esso si può ritenere vivo e cosa morto.